top of page

Il gioco del tiro all'elastico - Breve storia di una Terapia

  • Stefania Ludovici
  • 25 ott 2022
  • Tempo di lettura: 6 min
"I servizi segreti di paesi diversi non collaborano tra loro perché lo ritengono giusto: collaborano perché si ritrovano a volte in situazioni che li obbligano a unire le forze per un bene superiore".

Dal libro di D. Silva. La vedova nera


Ho incontrato la prima volta i signori P (il padre) e M (la madre) a luglio dello scorso anno.

Arrivano da me su suggerimento degli avvocati di parte.

Era chiaro a tutti quale fosse l’obiettivo di terapia: risolvere l’elevata conflittualità presente nella coppia e mai risolta, nonostante - a detta dei loro avvocati di parte - si trovassero alle fasi conclusive per firmare l’accordo di divorzio e avessero entrambi ricostruito una nuova coppia con dei nuovi compagni.

Era fondamentale risolvere il conflitto per riuscire a proteggere la figlia che avevano avuto insieme e che - come sempre in queste situazioni - era al centro della loro guerra e ne pagava il prezzo più alto.


Alice aveva all’epoca 11 anni.

Il conflitto di coppia era per me il punto nodale da risolvere, sciolto il quale i due genitori avrebbero cominciato a collaborare, sarebbero stati in grado di supportarsi reciprocamente e di negoziare compiti e funzioni riguardanti la figlia.


Quando vidi per la prima volta i signori P e M, eravamo ben lontani da questo traguardo. Il problema per cui veniva richiesta la mia consulenza era risolvere il rifiuto netto e categorico da parte di Alice di vedere il papà.


Infatti - come entrambi mi raccontano in prima seduta - durante un breve periodo di vacanza nelle Marche, che Alice ha passato con il papà e la nuova compagna, a seguito di un rimprovero del papà alla figlia, Alice telefona alla madre chiedendo di tornare a casa con lei. A detta della madre, la richiesta di Alice non ammetteva obiezioni, perciò decide di affrontare il viaggio e di andare a riprendersela.

Da quel momento le visite al padre scompaiono, salvo qualche rara eccezione (ad esempio il compleanno di quest'ultimo), gli incontri, come pure le telefonate tra padre e figlia si fanno via via sempre più rari, complicati e difficili, nonostante i ripetuti tentativi di P di mettersi in contatto con la figlia.


Negli incontri individuali che ho avuto con Alice non emergono gravi ragioni di fondo a sostegno del rifiuto così netto che oppone per le visite al padre e che possano spiegare il progressivo “congelamento degli affetti” che si è verificato.


Alice stessa ammette che:

~ il padre non è un genitore assente o trascurante, anzi, sostiene che il papà la cerca spesso al telefono, chiedendole un’occasione per stare insieme;
~ il padre non è un genitore maltrattante e/o violento (né fisicamente, né verbalmente);
~ il padre non viola o trascura i propri doveri di padre;
~ il padre non mette in atto comportamenti pericolosi, per se stesso o per gli altri, che pregiudichino la sana crescita della figlia.

Nell’evoluzione normale del bambino, condizioni di ansia, timori, momenti depressivi, sono sempre presenti, ma sono normalmente contenuti e controllati attraverso valide relazioni familiari.

Nella separazione, l’esplosione di un intenso stato di conflitto e la rottura del legame tra i genitori - come nel caso dei genitori di Alice - fanno invece riemergere nel figlio, in modo patologico, ansie arcaiche, timori di abbandono, angosce persecutorie e depressive, causate dalla mancanza di punti di riferimento chiari e rassicuranti, costringendolo a cercare a qualsiasi prezzo la garanzia e la certezza di riferimenti affettivi stabili.

L’elemento patologizzante per il figlio, non è tanto la separazione in sè, ma il tipo e la qualità della relazione di coppia che si caratterizza per l’elevata conflittualità.


Per i signori P e M la situazione dannosa è ulteriormente aggravata dal fatto che il contenuto dei conflitti tra i due, riguarda la figlia, la sua educazione e le scelte che la riguardano, poiché questi comportamenti acuiscono nella bambina il senso di colpa.

I bambini che sono coinvolti nei conflitti di lealtà tra i genitori, vedono in questo caso gravemente compromesso il loro benessere psicologico.


Fanno da spettatori ad accuse reciproche, offese, ingiurie. Non di rado si trovano triangolati ed incastrati all’ interno di un penoso gioco del “tiro all’elastico”, in cui sono loro l'elastico e pagano quindi il prezzo più alto.


Sul figlio si gioca una guerra fatta di ricatti affettivi, di alleanze, di conflitti di lealtà, che lo spinge a prendere le parti, ora dell’uno ora dell’altro genitore, e a sperimentare la spiacevole sensazione di tradire comunque qualcuno a cui tiene, qualunque comportamento decida di adottare.


Su queste basi teoriche, la bambina gracile e delicata che ho incontrato nel mio studio, con occhi assorti e pensosi, che cercava di trovare nei cassetti della sua memoria le ragioni che la portavano a procrastinare all’infinito il momento di rivedere il padre, senza riuscire a trovarne una davvero convincente, era dentro questa guerra e già piena di ferite.

In sistemi conflittuali come quelli appena descritti è piuttosto frequente che nel passaggio da un genitore all’altro il bambino manifesti sofferenza o veri e propri sintomi. Questi possono essere riletti in modo distorto, soprattutto se all’interno della coppia genitoriale non c’è quella fiducia di base che li porta a cooperare per il benessere del figlio.

Il più delle volte i genitori non si rendono conto che il disagio e i sintomi del bambino esprimono i sentimenti penosi che questi sperimenta quando, trovandosi al centro del conflitto, si sente schiacciato dal senso di colpa di star bene con un genitore e dal timore che questo suo affetto o attaccamento ferisca

l’altro.

I sintomi del figlio possono essere interpretati in maniera distorta per dimostrare quanto sia dannoso mantenere il rapporto con l’altro genitore, facendo in modo che gli incontri siano impediti o non siano soddisfacenti per il bambino.

Non è raro che se la pressione emotiva all’interno di questa guerra pervasiva tra ex coniugi supera il livello soglia per il figlio, questi provi a proteggersi dalla sofferenza emotiva tentando una strategia personale: tirarsi fuori dal gioco del “tiro all’elastico”, sganciarsi cioè prima di lacerarsi intimamente.


Questo sganciarsi affettivamente da un genitore per ritrovarsi agganciato all’altro, gli procura un sollievo temporaneo, fornendogli l’illusione di aver risolto il problema.

Detto in altri termini il bambino, se è troppo esposto a angosce catastrofiche, distorce il proprio sviluppo per evitarle.


Con la separazione dei genitori ha il timore di perdere le garanzie affettive e di cura e di perdere tutti i punti di riferimento chiari e rassicuranti.

Questi sentimenti penosi lo costringono a cercare di individuare da chi, minimamente, può avere la garanzia e la certezza di almeno un riferimento affettivo stabile, a qualsiasi prezzo, ed utilizza modalità “adesive” come tattiche per la sopravvivenza.

Lo psichiatra statunitense Richard A. Gardner descrisse queste situazioni cui sono sottoposti i figli di genitori la cui relazione sia molto conflittuale, come la Sindrome di Alienazione Genitoriale (PAS).

L’alienazione - è bene essere chiari - è una dinamica familiare nella quale tutti i membri della famiglia giocano un ruolo e hanno proprie motivazioni (frequentemente con lo scopo di evitare qualsiasi cambiamento).

In una normale separazione, se la coppia riesce a gestire bene il conflitto, il figlio cerca e chiede di mantenere la relazione con entrambi i genitori, prova dolore per la perdita e si illude di mediare.

Al contrario quando il conflitto nella coppia è altissimo, il bambino PAS interrompe e rinuncia al legame con uno dei genitori, alleandosi con l'altro. Congela le emozioni per non sentire i conflitti e proteggersi dalla sofferenza.

INTERVENTO


I signori P e M avevano bisogno di cominciare un percorso di terapia familiare.

Gli obiettivi del progetto terapeutico erano così definiti:


~ aiutare la coppia dei genitori a superare la fase di stallo in cui si trovano e a gestire il conflitto;

~ aiutare la coppia a mantenere una buona funzionalità e comunicazione come coppia genitoriale, nell’interesse dei bisogni della figlia;

~ aiutare la figlia a ricostruire la relazione con entrambi i genitori, con un trattamento della loro relazione disfunzionale, attraverso interventi di mediazione terapeutica genitori- bambino;

~ lavorare sulle risorse genitoriali per garantire la relazione della bambina con entrambi i genitori e spostare le loro energie dalla loro lotta ai bisogni di salute della figlia, attraverso un percorso di mediazione terapeutica dei genitori.

~ mantenere con qualunque strumento la continuità del legame genitori-figlia.


Quando le cose vanno come devono si raggiunge un buon equilibrio tra conflittualità e cooperazione tra i membri del sistema.

Le capacità di tutti di far fronte alle difficoltà della vita, una volta acquisiti gli strumenti per fronteggiare i momenti di crisi, aumenterà la comprensione e l’accettazione reciproca, faciliterà la comunicazione, aumenterà l’interdipendenza e l’autostima.


Harding Carter scriveva che ci sono solo due lasciti inesauribili che dobbiamo sperare di trasmettere ai nostri figli: ali e radici. Niente elastici dunque. Solo ali. E radici.

Comments


bottom of page