Mi presento
- Stefania Ludovici
- 31 mar 2022
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 28 mag 2022
Come sono arrivata alla Psicolgia?

Se volessi provare a dare una risposta più personale e meno cerebrale, dovrei trovare il coraggio di parlare un po’ di me.
In questo caso la risposta più immediata o più “di pancia” sarebbe: <<Mia nonna mi ci ha portato. È lei che mi ha accompagnata. Mano nella mano>>.
E questa è la mia semplice verità. Se non altro io oggi la sento così! Se riavvolgo il nastro della mia vita, posso dire di essere stata una bambina sempre molto curiosa. Questo almeno era quello che gli altri dicevano di me.
<< Ma quante domande che fai! Non ti stanchi mai di fare domande? >>
<< Però adesso basta con tutti questi “perché”! È così perché si o perché no o perché lo dico io! Fine della discussione! >>
Oltre ad essere molto curiosa -“ con due occhi più grandi del mondo”-, avevo anche un altro enorme difetto: non mangiavo quasi niente o, come amavano ripetere i miei, campavo d’aria! E poiché non mi era permesso alzarmi da tavola finché non avevo finito tutto, potevo passare ore davanti al piatto.
E qui entra in gioco mia nonna.
Lei arrivava sempre un attimo prima che i miei occhi diventassero due pozze d’acqua zampillanti. Ancor prima di lei arrivava la sua voce: << La vuoi sentire una bella storia? >>. Poi, per me, tutto cominciava.
Mi apparecchiava storie di ogni genere. Avventurose, folli, alcune davvero senza capo né coda, cominciavano con un protagonista e finivano con qualcun altro che aveva preso il suo posto. E quando le domandavo dove fosse finito quel personaggio, mi rispondeva che era per sbaglio entrato in un’altra storia, che mi avrebbe raccontato un altro giorno.

Altre volte sceglieva per me storie brividose, quelle che mettevano sempre un po’ di paura, con boschi e lupi e streghe malvagie, ragnatele in soffitta o scheletri negli armadi. Le storie con gli eroi erano le mie preferite. E spesso gliele chiedevo. Ma lei si sentiva più a suo agio a raccontarmi storie di persone comuni, “di gente come noi”, che doveva mangiare, scaldarsi quando aveva freddo, trovare un paio di scarpe per non camminare scalza nella neve ghiacciata, e poi mi parlava di gente distratta, pigra, avara, a volte di gente che pensava solo al suo orticello, che non guardava mai le nuvole e che non poteva perciò sapere quanto potessero cambiare in continuazione.
Poi c’erano le storie ricorrenti. Quelle di bambine che ne combinavano più di Carlo in Francia, o di bambini scansafatiche che venivano puniti per la loro ignavia e finivano nel forno senza un lieto fine. Storie di matrimoni epici e di pozioni magiche che a volte risolvevano problemi ma altre li peggioravano. Storie improvvisate, occasionali, che seguivano l’onda degli umori momentanei di mia nonna e delle sue giornate.
Io di queste storie mi sono nutrita, per giorni, settimane, mesi, anni...
Non ne avevo mai abbastanza. Non avevo solo occhi spalancati di curiosità. Anche la bocca era spalancata, e mia nonna provvedeva a riempirla di cibo, pure se io questa parte proprio non la ricordo. Ricordo però le storie. Non tutte, certo! E di questo oggi mi rammarico, ma erano davvero troppe da trattenere.
Quel che ricordo bene, anzi benissimo, è però la sensazione che provavo in quei momenti. E direi che forse le parole che più ci si avvicinano sono:
MERAVIGLIA, STUPORE, INCANTO, BELLEZZA...e forse anche AMORE, tanto amore.
Da allora non ho potuto più fare a meno delle storie, che continuano a portarmi in quel “luogo là”, e le persone che incontro – che poi sono i miei pazienti – sono abitate da storie, tante, tantissime e diverse tra loro.
Questo è il mio luogo preferito, al quale torno sempre.
Di più, sono grata al mio lavoro e alla mia professione che mi lascia ogni volta tornare in questo “luogo” qui, fatto di sorpresa, paura e spavento ma anche di entusiasmo, incanto, meraviglia e, si, io lo posso dire, assumendomi il rischio di scivolare nel sentimentalismo, pieno di amore!
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